Appena sei anni dopo la fine della guerra nel Vietnam, nel 1979 esce nelle sale il film di Francis Ford Coppola, liberamente ispirato al romanzo di Joseph Conrad “Cuore di tenebra” (1898). “Apocalypse Now” otterrà due Oscar e la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Il film, splendido nella sua epicità, si presta a varie chiavi di lettura, da quella prettamente psicoanalitica, soggettiva, a quella mitologica, a quella di lettura psicoanalitica di un fenomeno sociale che oggi ci vede coinvolti tutti, come è quello della guerra.
“Il mio film non è sulla guerra del Vietnam, è il Vietnam…” dichiarerà a ragione Coppola. La guerra del Vietnam era terminata da appena sei anni con gravi conseguenze e contraccolpi sociali per gli Stati Uniti. Per oltre un decennio la più grande potenza globale si era impegnata e dissanguata in un conflitto tragico e feroce che aveva profondamente segnato e minato la sua incrollabile coesione. Per la prima volta nella loro storia gli Stati Uniti non erano usciti vincitori da un bagno di sangue che cambiò per sempre il Paese. Le conseguenze della “sporca guerra” furono pesanti e frustranti. Il governo di Washington in oltre dieci anni aveva speso miliardi di dollari in armamenti, per contenere l’espansionismo comunista nel Sud-Est Asiatico. Il costo più elevato fu quello umano. In quel conflitto persero la vita 58mila soldati e circa 300mila rimasero feriti o mutilati. Nel gennaio del 1973 gli Stati Uniti e il governo comunista di Hanoi firmarono a Parigi gli accordi di pace. I soldati americani poterono tornare in patria dopo sofferenze indicibili. Un trauma individuale e collettivo di tale portata questo, da costringere il DSM (Manuale Statistico per i Disturbi Mentali) ad elaborare un nuovo specifico disturbo osservato in molti reduci del Vietnam: il Disturbo Post Traumatico da Stress. Il disturbo di tali reduci era caratterizzato principalmente da eccessi di angosce diurne e notturne legate a ricordi laceranti, immagini mostruose, orrifiche, non elaborabili né rimuovibili dalla coscienza e che conducevano molti ad agire, in maniera etero o autodistruttiva, tale violenza vissuta.
Arrivato al termine di un lungo viaggio da inferno dantesco, in cui attraversa la follia della guerra in tutti i suoi aspetti, il capitano Willard si trova ormai giunto all’epilogo della sua missione: uccidere il colonnello Kurtz, «porre fine, senza scrupoli di sorta» alla sua esistenza, così come da ordine impartito dallo stato maggiore militare.
Un obiettivo che potrebbe apparire di impossibile traguardo, non solo per l’ingente numero di soldati, guerrieri e fedeli di cui è composto il personale esercito del colonnello, ma soprattutto perché Kurtz è perfettamente a conoscenza di quali siano le intenzioni di Willard.
Eppure la missione ha buon fine: Kurtz viene ucciso; e non solo, Willard riesce, senza alcuna opposizione da parte dei soldati, a riprendere la propria imbarcazione e a far ritorno alla base.
Kurtz è un uomo che ha ricordi strazianti; la sua memoria ferita è carica di immagini orribili; egli è stato testimone di atti spietati e brutali, ha visto la cattiveria e la ferocia prendere completo possesso dell’uomo, soffocarne la ragione. Di tali orrori, di tali esperienze, la sua memoria conserva un ricordo vivo, limpido, intenso, tanto intenso da lasciare un segno profondo nella sua psiche diventata ormai instabile, in preda a squilibri.
Un turbamento generato da avvenimenti dolorosi di forte intensità, solitamente provoca scompensi nel nostro essere, crea in noi ferite profonde a cui reagiamo con quel meccanismo di difesa che Freud chiama rimozione.
Nel film questo processo non può avere luogo nella psiche di Kurtz, causa l’estremo orrore dei fatti a cui assistito (v. esempio braccine mozzate) e perciò i suoi ricordi sono fonte di troppo dolore, carichi di una forza perturbante che non concede la possibilità della rimozione.
Potremmo dire che Kurtz soffre di un Disturbo Post Traumatico da Stress.
Il colonello ci si presenta come un personaggio che non può cancellare i ricordi; ma, d’altra parte, ci viene presentato anche come un personaggio che vuole mantenere viva la memoria dell’orrore, vuole non dimenticare e, attraverso sé stesso, vuole che gli altri non dimentichino di quanta e quale ferocia e brutalità l’uomo sia capace. Costretto quindi sia dal bisogno di dimenticare e sia dalla necessità di ricordare, Kurtz scopre che l’arrivo di Willard può rappresentare una soluzione al suo dilemma perché coglie in lui la possibilità di trasmettere la memoria e dare cessazione al suo dolore, facendosi uccidere.
Quello che doveva essere un assassinio da parte dell’esercito americano, assume così il valore di un suicidio premeditato e agognato da parte di Kurtz. In questo modo egli riesce a invertire la finalità che l’esercito voleva raggiungere: il far cadere nel vuoto dell’oblio l’esistenza scomoda di un colonnello che dichiarava apertamente il suo odio verso i capi della guerra. Dopo avere visto con occhio lucido e critico quali menzogne la guerra celasse, quali mostruosità generasse, di quale follia fosse realmente fatta, Kurtz dona la sua memoria, il suo vissuto, e infine la sua vita a Willard, affidando a lui il compito di raccontare e dare testimonianza dell’“orrore” della guerra.
Il narrare le atrocità della guerra, come diranno Freud e Einstein nel noto carteggio del 1933, nonostante la violenza insita nell’essere umano, è un passaggio importante affinché la memoria possa diffondersi ed essere recepita sia a livello individuale che a livello collettivo. Questo sapere ha anche una dimensione morale, e per questo Freud e Einstein confidano nella trasmissione culturale della scuola, o in momenti divulgativi come questo, in quanto la «conoscenza dell’orrore compiuto da un altro» educa il nostro comportamento e lo accompagna. Certo, l’orrore che si continua a perpetrare e ad assistere, sia con la Seconda Guerra Mondiale e il fenomeno del Nazismo, nonostante il carteggio succitato di un anno prima, sia nella guerra attuale tra Russia e Ucraina, nonostante gli orrori di altre guerre recenti, ci orienta a non attribuire alla memoria dell’orrore una forza salvifica, specie quando le ragioni – spesso irragionevoli – del potere la sovrastano. Tuttavia la memoria svolge pur sempre, nella coscienza del singolo e nell’identità collettiva di un popolo, una funzione importante e correttiva in cui dobbiamo credere. Lasciando sempre accesa una fiammella di speranza.
Una fiammella di Pace.
Maurizio Cottone
Intervento d’apertura della rassegna “Cinema e Psicoanalisi”
04 febbraio 2023